A cura di Diego Gavagnin
Sul finire dell’inverno si può tentare una prima analisi di come il sistema energetico europeo ha reagito allo spregiudicato uso militare del mercato del gas naturale messo in atto dalla Russia. Siamo a pochi giorni dal 24 febbraio, un anno dall’inizio dell’aggressione bellica all’Ucraina, ma il vero anniversario è già passato da sei mesi, settembre 2022.
La guerra economica all’Europa è infatti iniziata a fine estate 2021, quando la Russia si è rifiutata di fornire il gas aggiuntivo che, nel rispetto dei contratti pluriennali, veniva chiesto dai vari paesi europei per completare gli stoccaggi di gas naturale in vista dell’inverno 21/22. Nonostante prezzi più convenienti del solito, saliti per altri motivi. Se quel gas fosse stato consegnato i prezzi si sarebbero riallineati alle tendenze storiche.
Invece tutto era programmato e preordinato. La data dell’aggressione militare era ben calibrata in previsione delle difficoltà che il sistema degli stoccaggi europei, se scarsi, avrebbe avuto nel periodo climatico più delicato, appunto il fine febbraio di ogni anno. Ci ha salvati il GNL, soprattutto americano.
Come avrebbe reagito l’Europa all’invasione militare se in quegli stessi giorni avessimo avuto le fabbriche chiuse e le case fredde? Si sarebbero adottate le sanzioni economiche immediatamente lanciate per indurre la Russia a tornare sui suoi passi? Si sarebbero avviati gli aiuti militari a Kiev? Con quanta convinzione? O ci saremmo rassegnati, come fu con l’invasione della Crimea nel 2014?
Emergono alcune incredibili sottovalutazioni. Un paio fortunate per noi. La prima quella della Russia nei confronti del mercato del GNL, ormai mondiale, sempre osteggiato, soprattutto con le politiche di prezzo e la durata pluridecennale dei contratti via tubo. Prezzi costantemente ad un livello tale da scoraggiare l’uso intensivo del GNL da lunga distanza. La seconda il ruolo del clima. Se l’inverno fosse stato freddo in USA il GNL non ci sarebbe arrivato.
L’altra assurda sottovalutazione è stata quella europea, di singoli Paesi e Istituzioni comunitarie, di quanto stava accadendo. Nell’autunno 2021 Stati Uniti e Gran Bretagna insistevano nel segnalare che la Russia avrebbe scatenato la guerra durante l’inverno, ma pochissimi in quella fase hanno associato questi allarmi ai comportamenti sul mercato del gas.
Non si è voluto vedere, e molti continuano ancora a non voler vedere. In parecchi analisti e commentatori permane un pregiudizio positivo nei confronti se non proprio più della Russia ancora in Gazprom, l’operatore pubblico del gas russo, dopo decenni di buoni affari, accordi e interessi in comune.
Certamente molti in quella società erano in buona fede, convinti di operare in condizioni di libero mercato, al pari dei colleghi occidentali. Da quanto trapela hanno provato a resistere agli ordini di Mosca, il che potrebbe spiegare l’incredibile serie di strani “suicidi” di alti dirigenti susseguitisi in quei mesi.
Questa difficoltà, direi quasi “ideologica”, di riconoscere l’intento criminale di quanto stava accadendo sul mercato del gas ha ritardato la messa in campo degli adeguati interventi per la fornitura degli stoccaggi per questo inverno, nonostante la guerra fosse già in corso! Per tutta la primavera si è chiesto al mercato, già nel panico per il rischio di interruzioni complete delle forniture, di provvedere agli acquisti senza nessuna realistica previsione dei prezzi al momento del prelievo invernale.
Troppo alto il rischio per gli operatori privati e infatti il mercato si è bloccato. Quando infine gli stati sono intervenuti, incaricando operatori pubblici di comprare gas a qualsiasi prezzo, il mercato è impazzito, con i prezzi arrivati a 350 euro/MWh, dopo un decennio intorno ai 20 euro/MWh.
Da parte nostra, già nella ConferenzaGNL di Bologna nell’ottobre 2021, grazie alle analisi di mercato sempre puntuali di MBS Consulting, segnalammo la gravità di quanto stava accadendo, e nell’ottobre scorso, prima delle elezioni politiche, sempre a BolognaFiere, abbiamo ribadito come l’Italia avesse l’opportunità, grazie soprattutto al GNL, di essere un hub del gas naturale al servizio dell’Europa, ma agendo in fretta.
L’altra insensata sottovalutazione, e questa attribuibile più alle Istituzioni europee che ai singoli Paesi, riguarda le ambiziose politiche di decarbonizzazione, adottate senza rendersi conto che certi traguardi erano possibili solo perché tutta l’Europa era tranquillamente sdraiata sul gas russo.
Oltre che nell’energia, la guerra in Ucraina ha fatto emergere altre dipendenze: materie prime, tecnologie, prodotti agricoli. Il quadro geopolitico è in veloce evoluzione, obbligando l’occidente a rivedere e ricollocare su diversi piani i rapporti tra democrazie liberali e no, per mettere in sicurezza le nostre economie.
In Europa si è creata una situazione paradossale. Si pretende da un lato di rinunciare all’uso del gas naturale il prima possibile, e dall’altro di procurarsi GNL in ogni angolo del pianeta, essendo evidente che neanche una molecola di gas arriverà più dalla Russia nei prossimi anni, e chissà per quanto.
Come se esistessero infrastrutture energetiche “usa e getta” da comprare nel negozio all’angolo della strada. È necessario un bagno di realtà. Quanto gas serve ragionevolmente all’Europa nei prossimi anni, fino al 2050 se non oltre? Quanto siamo disposti a pagare per la sicurezza energetica, nella situazione data, per infrastrutture che diventassero non remunerative? Qui sì che servirebbe un fondo comune europeo di riserva!
In Italia il nuovo governo ha rilanciato l’idea dell’Italia hub del gas naturale ma forse è già troppo tardi, la finestra si sta rapidamente chiudendo. Approfondiremo questi temi nell’incontro promosso da ConferenzaGNL in programma il prossimo 14 marzo.